Ordinazioni Diaconali. Omelia di don Mimmo Battaglia

Succederà di tutto a Dio, ma non gli avverrà mai di perdere la voce. La sua voce ha mille suoni, ritmi divini e profondamente umani, arriva quando meno te l’aspetti. Una similitudine – quella che attraversa oggi il Vangelo – o un enigma? Sta di fatto che la similitudine diventa un enigma: infatti è scritto: “Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro”. C’è la possibilità di non capire. Per esempio, non capiremmo il significato di queste parole di Gesù se oggi attribuissimo immediatamente – cioè senza mediazioni – ai preti, ai religiosi, ai consacrati l’immagine del pastore. Se c’è un brano in cui Gesù rivendica a se stesso con una assolutezza intensa l’immagine del pastore, è questo. Gesù – a differenza di altri pseudo pastori – entra, nel recinto delle pecore, attraversa la porta. C’è un guardiano del recinto che custodisce le pecore e apre soltanto al pastore. Questo guardiano è Dio Padre. È lui che dà libero accesso a Gesù che passa attraverso la porta. Gli esegeti fanno notare che qui l’evangelista Giovanni per dire “porta” non usa il termine pu,lh, che indica la porta grande della città, ma usa il termine tu,raj, che indica la porta piccola, la porta stretta, quasi a suggerire che Gesù, la sua legittimità di pastore, se l’è conquistata con la Pasqua, con la sua morte e risurrezione, la porta che si chiude e che si apre, la porta stretta. Questo fa la differenza tra lui e gli altri pseudo pastori, abilissimi questi a mungere il gregge, a servirsene anziché a servire, a vivere alle spalle degli altri, anziché a vivere per gli altri: quelli della porta grande, grande per se stessi. Gesù… quello della porta piccola, ristretta, ci ha lasciato la vita nel passarla. E ci sono altri criteri, oltre la “porta stretta”, che lo identificano come il vero pastore.”… chiama le pecore una per una e le conduce fuori… cammina innanzi a loro…”. “Chiama le pecore una per una”. L’essere pastore da parte di Cristo passa attraverso questa intimità del nome. C’è questa intimità, c’è questo rapporto personalizzato, non è l’ufficio che conta, non il ruolo, né la cattedra, è la relazione… Anche con Gesù: come con i fratelli e le sorelle. Il calore delle relazioni! Il gelo -il gelo della estraneità- può dire soltanto lontananza, lontananza dal Vangelo. “Chiama le pecore una per una e le conduce fuori”: anche questo è un criterio che ci fa amare perdutamente il Signore Gesù: ci conduce fuori: fuori dei recinti, in spazi di autentica libertà. Rimane il sospetto su una certa prassi pastorale, dove il pastore abita il recinto, gode del recinto, raduna sempre dentro, dentro le strutture ecclesiali. “Entrerà e uscirà” – è scritto – “e troverà pascoli”. È la rivoluzione di un certo modo di pensare, secondo il quale i pascoli, quelli buoni, sono solo dentro: “uscirà e troverà pascoli”. E ancora. “E quando ha condotto fuori le sue pecore, cammina innanzi a loro…”. Non è il pastore delle retrovie, dietro al gregge, quasi il suo carisma fosse prevalentemente quello di sorvegliare e di pungolare. No, Gesù, il Pastore del Vangelo è avanti, apre cammini. Tu lo vedi avanti, molto avanti, a segnare una via, a incoraggiare, a significare una presenza che rassicura. Oggi c’è questo pericolo per la Chiesa di dimenticare che essa stessa è gregge di Cristo e lui solo è il Pastore, essa stessa è ovile di Cristo e lui solo la Porta. Io sono la porta. Cristo è la soglia spalancata che immette nella terra dell’amore leale, più forte della morte; più forte di tutte le prigioni. Io sono la porta: ogni porta ha un duplice movimento, per cui si apre e si chiude. Una porta chiusa per chi cerca la propria gloria e il proprio interesse, chiusa per i briganti e per i ladri. Aperta per chi intende cancellarsi, perdersi, donarsi, affinché sia assicurata la vita in abbondanza. Porta che dà accesso ad uno spazio di libertà e intimità. Le pecore si nutrono prima di tutto di libertà. E il rapporto che le pecore stabiliscono con il pasto re non è giuridico, né rituale, né dottrinario… è una relazione vitale. “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.” È la frase della fede, quella che ti rigenera ogni volta che l’ascolti: vita che profuma di amore, di libertà e di coraggio. Vangelo. Le pecore, nel recinto, durante la notte, possono provare l’impressione di aver perduto il pastore, di essere state abbandonate da lui. Lo ritrovano al mattino, non quando lo vedono, ma quando ascoltano la sua voce. Allora avviene l’incontro, il riconoscimento reciproco, grazie ad una specie di liturgia della voce. È la voce che permette di distinguere il pastore dagli estranei. È la voce che restituisce ciò che è stato sottratto agli occhi. Il pastore lo riconosci dalla voce: non ha bisogno di urlare ma di coinvolgere. Quante parole urlate nella convinzione che in questo modo si è sicuri di venire ascoltati… La voce di Gesù doveva essere una voce particolare se è vero che la samaritana non potrà non riconoscere che mai un uomo le aveva parlato come quell’uomo; doveva essere autorevole se la folla non tarderà a riconoscere che mai nessuno aveva parlato come parlava Gesù; doveva essere riconoscibile se alla Maddalena basterà sentire pronunciare il suo nome per riconoscere in quell’uomo che le parlava il Maestro; doveva essere unica per far ardere il cuore nel petto ai due discepoli di Emmaus mentre conversava con loro lungo il cammino; e doveva essere affidabile se conquisterà l’amore di Pietro dopo il rinnegamento. La voce tr adisce la passione che ti anima, l’intenzione che ti guida, la convinzione che ti muove. Tanti ci chiamano mettendo insieme le sillabe che compongono la nostra identità anagrafica, ma solo uno ci conosce per nome, cioè sa di cosa è impastata la nostra vita. Che qualcuno pronunci il mio nome significa che mi ha intravisto e riconosciuto fra altri: e chi di noi non è affascinato da una simile esperienza? E ti fa battere il cuore. Quale sguardo abbiamo… che abbiamo capito di questo pastore? Il Signore non opera fuori ma dentro l’umano. Non fa qualcuno più grande e più responsabile e qualcuno più piccolo. Nessuno è più grande… e nel più piccolo vi è Dio stesso. Chiama ad un cammino possibile a tutti per tornare ad abbracciare chi si era perso, per imparare l’abbraccio. Abbraccio che è tale quando dà e accoglie vita. Per andare incontro a chi ha occhi smarriti, lontani dalla vita; per andare incontro a chi si sente frammentato dentro e fuori. E questa chiamata ci è affidata. Ti è affidato il fratello. Solo un pastore che fa così, ti dà di vedere chi sei. Ti dà di vedere che puoi somigliare a Lui… dentro e fuori. Un Dio pastore che non abbandona nessuno e si prende cura di tutti. Caro Delio, in questo giorno così importante per la tua storia, attraverso cui Dio vuole parlare al mondo, accogli sempre l’abbraccio del Dio pastore, diventane il segno, somiglia sempre di più a questo Pastore che si prende cura di tutti! Dio ci indica i passi… i suoi. Così oggi conduce nella vita. Così mi prende in braccio e mi fa respirare. Così mi spinge ad amare. A non pensarmi come Lui ma a desiderare di essere come Lui e con. Il mio Dio pastore non ha paura, mi parla con parole… e mi aiuta ad attraversare il buio delle contraddizioni, ad abbracciare quel soffio che rimette in piedi e fa camminare, correre, chiamare altri… osare… Il mio Dio non si scoraggia mai. Mi cerca sempre. E cerca sempre tutti gli altri, quelli che conosco, e quelli che non conosco. Mi continua a chiedere di essere con Lui in questo suo cercare. Caro Luigi, tra le contraddizioni che questo tempo ci impone, non smettere di fidarti del Dio pastore, cammina con lui, corri con lui, sii la sua voce per chiamare altri, non smettere di osare! A tutto questo, a questo pastore, dico sì. Al pastore di cui riconosco la voce. Al pastore che mi fa vivere con la sua giustizia. Al pastore che mi ricorda la radice, il fondamento, di questo amore che mi riempie dai piedi alla testa… Al pastore che non sperpera, non vende, non edulcora, non gioca con la vita… ma si compromette, con me, con noi. A lui che è diventato pecora come me, dico sì. Al Pastore dei grandi e dei piccoli, dico sì. A un Pastore che mi chiama così, dico sì. A un Pastore che si prende cura della terra così… dico che ci sono. Caro Pasquale, ascolta quella voce, fidati di quella voce, appassionati a quella voce che ti ricorda che Dio è la tua radice, Dio il tuo fondamento, Dio è tutto l’amore necessario a spendere la tua esistenza senza sconti. È Lui che ha cura. Ha cura di chi chiama a servire con lui… ha cura di chi ascolta e di chi non riesce più a riconoscerlo. E ci fa camminare insieme. Lui raduna ora. Il tempo finale è questo. È il tempo affidato. Il tempo della cura. Oggi ci chiede di sceglierlo, di scegliere. Oggi ci chiede di ascoltare la sua voce nella sua Parola. E la sua voce raduna sempre. La sua voce unisce. La sua voce redime. La sua voce accompagna. La sua voce apre gli occhi e fa distinguere, fa giudicare il bene rettamente da noi stessi. La sua voce chiama a servire. Gesù, il Figlio, buon pastore. Occhi negli occhi del Padre… occhi negli occhi delle pecore… Cercati, amati, chiamati. E non è questa la vocazione? Vocazione è sentire che tu sei il sogno di Dio, che appartieni a Lui. Vivi questo sogno. Credi in questo sogno. Fanne la tua vita. Con fiducia. Cari Delio, Luigi, Pasquale: fidatevi del sogno che ha Dio per ciascuno di voi. Qualsiasi cosa possiate scegliere, non è bello quanto la scelta che Dio ha fatto per voi. E il sogno di Dio è un sogno bellissimo sulla vostra storia. Fiducia è la prima condizione perché vita ci sia. Io vivo perché mi fido. Allora nella vita non sceglierò mai in nome della paura, per quanto giustificata e motivata. Ma ad ogni bivio, e la vita ne è piena, sceglierò ciò che fa crescere e fiorire la vita. E se io mi fermo, Lui, pastore della vita, si siede e mi aspetta sorridendo. Cristo non è venuto a prendere ma ad offrire, non chiede niente, dona tutto. Vocazione è di essere nella vita datore di vita. A tempo pieno per Cristo: per essere totalmente come Lui. L’Unico che ti riempie totalmente la vita. “Cammina davanti ad esse “…apre cammini, sta davanti e non alle spalle. Non un pa store che rimprovera per farsi seguire, ma uno che seduce con il suo andare, affascina con il suo esempio. Penso ai suoi occhi che hanno accarezzato, ai suoi piedi che hanno camminato sino a provare stanchezza, a quel suo banchettare con pubblicani e peccatori che gli attirò l’odio dei farisei, di ieri e di oggi, a quella sua voce a difesa degli ultimi e dei poveri, a quel suo condividere con noi tutto, persino la paura e la tristezza di morire e l’attesa di una risurrezione. Al cuore ci rivengono le parole del profeta Ezechiele; forse qualcuno di voi ne ricorda l’infinita tenerezza. Gesù le ha avverate: “Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare… Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia” (Ez 34,15-16). Il pensiero che lui, Gesù, rallenti il suo passo per me, per non lasciarmi troppo indietro, mi consola e mi mette fiducia, molta fiducia. Ebbene il pastore, il vero pastore delle nostre anime, il Signore Gesù ha lasciato tracce per il popolo di Dio in cammino. Anche per coloro che oggi chiamiamo pastori nelle chiese, ha lasciato come logica quella del “prendersi cura”, la logica del contatto, della condivisione della vita, della conoscenza appassionata, dell’amore per il gregge di Dio, una logica del vivere che è semplicemente l’opposto della mentalità del ladro o del brigante. Ogni volta che, più o meno subdolamente, in noi prende piede, insinuandosi, la logica di chi vuol stare sopra gli altri, di chi opera, ma a condizione di essere ripagato, di chi approfitta del suo ruolo per interessi personali o per mire di ambizione, ogni volta che ci si carica di orpelli che ci fanno assomigliar più a manichini, a funzionari, che non a compagni di viaggio, viene meno la limpidezza evangelica, del vero e unico pastore, Gesù. Io sono la porta. Misura della porta è la vita di Gesù. Passa per quella misura. Misurati su Gesù, misurati, sempre più, sul Vangelo. Non sbiadirne la memoria nella tua vita, non sbiadirla né per te né per gli altri. Perché Gesù e il suo Vangelo sono porta alla vita vera, alla pienezza della vita. In una piccola parola è sintetizzato ciò che oppone Gesù a tutti gli altri, ciò che rende incompatibili il pastore e il ladro. La parola immensa e breve è “vita”: cuore del Vangelo. Vocazione di Dio e vocazione dell’uomo. Scegli la vita. L’ultima vocazione degli uomini è diventare figli di Dio. E non c’è parola che abbia più vita dentro. Diventare consapevoli di ciò che siamo. Figli. E poi realizzarlo in pienezza. Nascere ogni giorno con la vita di Dio dentro. E poi, a mia volta, diventare anche io pastore di vita per le persone a me affidate, e porta spalancata… e Dio ti chiama a una vita più vera dentro ogni istante. Quando parliamo di vocazione facciamo riferimento anzitutto a quella vocazione alla santità scritta nel cuore di ogni battezzato: “ogni vita è vocazione”. La vita come vocazione. Un atto d’amore creativo e personale. Un amore personale: mostra quanto gli stai a cuore. Un amore misterioso perché Dio “forse l’ha sognato di notte. Nella tua notte”. Gesù Cristo, la Parola che dà corpo ai miei sogni. E questa Parola è luce, è voce che parla al cuore, grande da riempire la vita! Delio, Luigi, Pasquale: illuminate la vostra storia della luce che scalda il cuore, della voce che risuona nelle corde più profonde dell’anima. Gesù è l’umile Pastore. Guardate a lui. Guardate a Cristo Signore. Un invito speciale anche ai tanti giovani che stamattina sono qui per starvi accanto. Vorrei dire a ciascuno: “Lasciati incontrare da Lui, non aver paura di aprire sempre di più il tuo cuore, di affidare a Lui la tua vita. Cristo non delude. E, nel momento in cui ti lasci prendere, ti lasci afferrare da lui, ti rendi conto che non puoi più vivere senza di lui. E lo segui, e ti riempie la vita”.

* Arcivescovo Metropolita di Napoli

Ordinazioni Diaconali. Omelia di don Mimmo Battaglia