90° anniversario Seminario. Omelia dell’Arcivescovo don Mimmo Battaglia

Carissimi,

è una gioia ritrovarci qui, quest’oggi, con il cuore colmo di gratitudine per questo luogo che non è solo un luogo fisico, un edificio ma è anzitutto una comunità, cioè un luogo in cui le persone si incontrano, dialogano, crescono e così facendo si formano. Dal 24 giugno 1934, qui, sulla collina di Capodimonte, a pochi passi da quello che fu uno dei primi luoghi di sepoltura del Vescovo e Martire Gennaro, per volere del cardinale Alessio Ascalesi sorge questa casa che è stata per migliaia di presbiteri e per non pochi vescovi e cardinali la culla del proprio servizio, la scuola in cui hanno imparato ad amare il Signore e i poveri, il laboratorio relazionale in cui apprendere a guardare l’altro non come un rivale ma come un fratello, un compagno, un amico amato da Dio.

Non credo sia un caso se il Cardinale Ascalesi volle inaugurare il Seminario proprio nella festa natale di Giovanni il Battista, il Precursore, l’Amico dello Sposo. Non è questa la casa in cui l’amicizia con lo Sposo viene messa alla prova della relazione quotidiana ed intima? Non è questa la scuola in cui si impara ad essere annunciatori e servi della presenza di Dio nella vita degli uomini e delle donne della nostra terra, annunciando e preparando la sua venuta nel cuore degli uomini per poi cedergli il posto consapevoli che “Lui deve crescere e noi diminuire”?

Il Vangelo che abbiamo ascoltato narra proprio questo mistero, del mistero di un’amicizia e di una fratellanza, del mistero del Messia e del suo Precursore, di due ventri fecondi, l’uno a servizio dell’altro nella reciprocità dell’amore. Si tratta di una storia fatta di annunci angelici, accoglienze titubanti, atti di audacia e sì pronunciati con un coraggio indomito e al contempo delicato. Quella che Luca ci narra è la vicenda della Parola che raggiunge i margini della storia e intesse la sua trama di salvezza, una parola che dinanzi alla reazione del sacerdote Zaccaria sembra volare via dal tempio per trovare il suo nido accogliente nel ventre di una donna divenuta Madre di Dio e in quello di sua cugina, resa feconda dalla speranza incrollabile nel Signore. Così Dio scrive la sua storia, non tra le sicurezze rigide del sacro ma tra le vicende tortuose e coraggiose di due donne capaci di sostenere con la loro speranza la speranza del mondo. Mentre Zaccaria il sacerdote dubita, Maria si fida, Elisabetta spera. Ma attenzione: i dubbi del sacerdote del tempio non fermano l’azione di Dio e questo ci deve essere di insegnamento sempre. I nostri dubbi, le nostre fragilità, i nostri ritardi e le nostre incoerenze possono rallentare il nostro passo, a volte anche quello della comunità ma non potranno mai arginare l’azione dello Spirito, che non conosce blocchi e che sempre sa aprire spifferi di grazia tra le fessure delle nostre chiusure. Così avviene per Giovanni, il Battista: lo Spirito che soffia sulle labbra di suo padre rendendole mute, forse per aiutarlo ad ascoltare con più profondità la sua voce, aleggia sul ventre di Elisabetta la sterile, a conferma delle parole di Gabriele a Maria: nulla è impossibile a Dio.

Carissimi, la nascita del Battista – unica nascita oltre a quella del Cristo che il calendario liturgico onora – rappresenta per noi un invito a fidarci con coraggio del Dio dell’impossibile, del Dio che non è disposto a negoziare il sogno d’amore dinanzi ai tentennamenti egoistici dell’uomo, di un Dio che desidera aprire varchi di pace tra le nostre guerre, spazi di fecondità nel bel mezzo dei nostri ragionamenti sterili, primavere inaudite di bellezza tra i grigiori tristi con cui spesso dipingiamo la vita.

Quella di oggi è una festa di rovesciamenti e capovolgimenti di schemi: il sacerdote tace ed è una donna, una madre, a parlare: «Si chiamerà Giovanni». Un nome che significa “dono di Dio”, Dio fa grazia, e sappiamo bene che nella cultura biblica dire “nome” è come dire l’essenza della persona, la sua vocazione e missione. Elisabetta è in ascolto dello Spirito, dei suoi movimenti, delle note che suona e sulla cui melodia la creatura del suo grembo danza. Elisabetta ha ricevuto un dono dal Signore, un dono che ha rovesciato la sua sorte di donna sterile, un dono che l’ha resa feconda ma sa al contempo che questo dono non è solo per lei, che questo bambino è dono di Dio per tutti poiché di lui, il Signore, si servirà per parlare a tutti e preparare la venuta dello Sposo. Ma poiché a volte la comunità è restia a riconoscere la profezia e l’irruzione dello Spirito, viene interpellato ancora una volta il padre, Zaccaria che interviene scrivendo: Giovanni, cioè “dono di Dio”, Dio fa grazia, è il suo nome. E nell’istante stesso in cui Zaccaria, da tempo in ascolto e senza parola, sembra essersi sintonizzato con l’agire di Dio nella storia, ecco che in quel momento la parola torna a fiorire dalle sue labbra benedicendo il Dio della vita!

Quanto è importante che questo luogo, che è il Seminario, sia un luogo in cui impariamo ad ascoltare, a stare in silenzio come Zaccaria e a pronunciare parole di benedizione come lui, dopo che ci siamo sintonizzati con il sentire di Dio! Forse come Zaccaria siamo arrivati in questa casa mossi da sentimenti e animi genuini, puri e sognanti ma magari racchiusi in schemi rigidi e idee preconfezionate, che corrono il rischio di spegnere i nostri entusiasmi al primo ostacolo, alla prima delusione, perché fondati più che sulla Parola sulle parole! Per questo abbiamo bisogno di assumere uno sguardo diverso, uno sguardo che non parta dal centro ma dai margini, rinunciando all’atteggiamento dell’antico sacerdote che crede di dover custodire il tempio per assumere quello della donna feconda nel cui ventre è cullato il sogno di Dio! E come sarà bello vedere Giovanni totalmente a servizio di questo sogno, donato senza riserve al progetto d’amore di Dio, pronto a mettere in discussione perfino le sue idee dinanzi alla sovrabbondanza dell’amore e della tenerezza inclusiva del Padre narrata dalle azioni e dalle parole del Figlio!

L’evangelista Matteo, al capitolo 11 ce lo racconta molto bene, con poche parole che tratteggiano una vicenda interiore complessa: «Giovanni intanto, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?». Gesù rispose: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella» (Mt 11, 2-5). Vedete, si tratta di una vera e propria crisi che il Battista attraversa: probabilmente il modo di essere e di fare di Gesù non era perfettamente coincidente con la sua idea di messia, con i suoi schemi e vedute. Ma come affronta questa crisi? Mantenendo la relazione con Gesù, interpellandolo direttamente, ponendo in discussione le proprie certezze per lasciarsi sconvolgere dalla misericordia sconfinata di Dio che in Gesù si manifesta in tutta la sua portata rivoluzionaria, concretizzandosi in parole e azioni di guarigione e liberazione, resurrezione e sollievo della sofferenza.

Cari seminaristi, cari formatori, quanto abbiamo da imparare da Giovanni. Sapete, un seminarista che non va in crisi come lui, che non mette in discussione la propria immagine preconfezionata di Dio per lasciarsi sconvolgere dalla perenne novità del Vangelo, un seminarista che crede di sapere tutto ma proprio tutto del suo Signore, così da poterlo possedere e parlare a suo nome senza neanche consultarlo… sarà un presbitero che servirà sé stesso e le proprie idee ma non la causa del Vangelo!

Mettiamoci quindi alla scuola del Battista per essere amici generosi dello Sposo, amici che si lasciano stupire, che sanno di non sapere mai abbastanza del loro Signore e che per questo più che maestri si sentono discepoli, più che uomini dalle certezze preconfezionate si considerano ricercatori dell’acqua viva dello Spirito, acqua con cui cercano di dissetare questo mondo che ne ha una sete infinita e che spesso, non trovandola, è disposto a bere fango!

Cara comunità del Seminario, nel festeggiare questa tappa importante della tua storia non temere di abitare le crisi necessarie a rinnovarti per fare in modo che ogni tuo figlio sia un annunciatore del Vangelo e un Servo della comunità, pronto ad abitare questa epoca nuova che pian piano si sta aprendo dinanzi a noi e che va accolta non come un problema da cui fuggire ma piuttosto come un’occasione dello Spirito! Questo è il tempo che ci è dato da abitare, non un altro! Questo è il mondo che ci è chiesto di servire con la Parola sulle labbra, il grembiule cinto ai fianchi, e la brocca e il catino tra le mani. Non un mondo ideale ma questo mondo, non una città ideale ma la nostra terra, non una Chiesa ideale ma la nostra arcidiocesi!

Ti prego, non cadere mai nella tentazione della storia, quella tentazione che ci spinge a restare rinchiusi nelle tradizioni gloriose del passato, musealizzando i percorsi esistenziali della comunità, impedendo così il proseguire del cammino e la sua fioritura per il timore del nuovo, per la fatica del confronto con un tempo diverso e inedito di cui si intravede più il pericolo che l’opportunità. Non temere di guardare avanti con coraggio e speranza: la complessità del tempo presente può chiederti la fatica di riformarti, di verificarti con più costanza, perfino di dar vita a vere e proprie rivoluzioni ma se guidate dallo Spirito di Dio saranno sempre rivoluzioni di amore, di vita, di speranza. Quell’amore, quella vita e quella speranza che per noi ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, Parola certa che non muta, fondamento della tua storia e di ogni “si” che tra le tue mura è stato pronunciato, incoraggiato, custodito!

Che i figli che ti vengono affidati possano essere sempre innamorati di Cristo e possano considerarsi anch’essi, come il Battista, precursori della sua venuta nel cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo, amici fedeli dello Sposo, servi della gioia di tutti! Che siano operai della strada. Persone sempre pronte a preparare vie, ad essere al servizio del cammino altrui considerandosi accompagnatori senza mai confondersi con la meta del viaggio.

Cara Comunità del Seminario, mentre ti dico grazie per questi novant’anni di storia, di bellezza, di santità, per tutto il bene che attraverso tanti pastori modellati sul cuore di Cristo hai fatto non solo alla nostra Napoli ma a tante Chiese in Italia e nel mondo, ti invito a guardare con fiducia e coraggio al tuo futuro! Mentre con il cuore grato conti come una madre ad uno ad uno, ripassandone i nomi, i tanti presbiteri e vescovi che hai generato, portando frutti di vita abbondante nella nostra Chiesa napoletana e nelle Chiese che a te si sono affidate per la formazione presbiterale, ti chiedo anche di sognare i presbiteri di domani, quelli che ancora non conosci, i seminaristi che ancora devono bussare alla tua porta e che ti domanderanno aiuto per crescere come uomini, come cristiani e così diventare presbiteri, servi della gente, annunciatori della Parola, sempre pronti a spezzare il Pane della Vita e a divenire essi stessi pane per saziare la fame di amore e di senso della nostra gente. E in questo tuo servizio profumato di custodia e maternità, non dimenticare mai di guardare a Maria, il cui primo “si” custodisce e custodirà sempre i tanti “si” che tra le tue mura sono strati pronunciati ieri, vengono pronunciati oggi e saranno detti, con un slancio di generosità, da altri figli che busseranno alla tua porta e che la Chiesa ti affiderà:

Maria, donna del sì senza riserve,

Madre di ogni chiamata e vocazione,
Custode fedele delle promesse del Signore,
guarda con tenerezza a questa comunità,
al nostro Seminario, ai giovani che si preparano
ad essere “servi inutili a tempo pieno”
per amore della nostra Chiesa, per il bene e la gioia del nostro popolo!

Nel silenzio del loro discernimento,
quando le voci del mondo li confondono,
sii tu a diramare ogni ombra e a ridestare in loro la bellezza del sogno di Dio,
sogno di rovesciamenti impensati,
sogno di ultimi che diventano primi,
sogno di una nuova alba in cui la giustizia e la pace si baceranno
generando per tutti i poveri della terra
un tempo di fraternità in cui il precetto dell’amore
diviene il fondamento e il principio di ogni cosa!

Tu, che pronunciando il tuo “si” all’Angelo
ti sei messa totalmente al servizio del sogno di Dio,
aiutaci a fare lo stesso,
a dire il nostro sì con cuore aperto,
sempre pronti a cogliere, anche tra le vicende più tortuose,
la melodia dello Spirito e il suo invito a danzare la vita fidandoci di Cristo!

Tu che hai vegliato come madre tenera e premurosa
sugli Apostoli riuniti nel cenacolo,
rinnova con noi e per noi l’esperienza di quei giorni
e fa che il tempo del Seminario possa essere davvero
per tutti coloro che vengono accolti in questa casa
un’occasione preziosa per imparare da te l’arte della fiducia incrollabile nel Vangelo del tuo Figlio!

Donna del Magnificat,
che già conosci le pieghe finali della storia,
fa che i presbiteri che ancora verranno donati alla Chiesa
da questo luogo santo,
possano essere come te cantori della speranza,
voci pronte a cantare con la propria vita
il Vangelo dei piccoli e dei poveri,
degli umili innalzati,
degli affamati ricolmati di bene!

Maria, donna del sì senza riserve,
Madre di ogni chiamata e vocazione,
Custode tenera delle promesse di Cristo,
Madre e Regina del nostro Seminario, prega per noi!

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